ernia paralizzante

Un giorno ti svegli e tutto è cambiato

"Perché la vita è un brivido che vola via, è tutt'un equilibrio sopra la follia…" Vasco Rossi. Mai parole furono più vere nel raccontare la mia storia. 

Avevo 30 anni, nel pieno della mia energia, quando un gesto quotidiano si trasformò nel prologo di una battaglia che non avrei mai immaginato di dover affrontare. Mi chiamavano Wonder Woman: fondatrice e anima di un centro polisportivo dove lo Yoga, il Taekwondo e le discipline olistiche si intrecciavano in una danza vibrante di vita e passione, ero un turbine di idee e di azione.

Ma partiamo dall'inizio

Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, un'ernia discale decise di mettere alla prova ogni mia certezza. Il dolore, inizialmente un sussurro, crebbe fino a diventare un disagio che non potevo ignorare. Ho trascorso diversi anni convivendo col dolore cronico alternato a fasi acute che mi costringeva sempre più spesso a delegare ad altri la mia passione per l'insegnamento.

Tutto cambiò in un istante

Il tempo passava, e con esso gli episodi di dolore si facevano più frequenti, più intensi, fino a quel mattino in cui tutto cambiò. La routine di una lezione di yoga si trasformò nel palcoscenico di un dramma personale: un dolore lancinante mi paralizzò, svelando la gravità della mia condizione.

"E' una tiepida mattina di inizio estate, mi preparo, prendo il motorino, anche se la schiena mi continua a dare fastidio, scendo e parto per andare a tenere la consueta classe di yoga.

Iniziamo la lezione, gambe incrociate, mani in chin mudra, il canto dei mantra, gli esercizi di respirazione, qualche saluto al sole e poi la pratica di semplici asana, alcune tra le tante posizioni contemplate nella pratica dell'Hatha Yoga. Osservo le allieve, sono tutte sistemate, d’altronde alcune mi seguono da così tanti anni, che potrebbero tranquillamente sedere al mio posto. Chiudo gli occhi, mi rilasso, ignara che da lì a qualche istante un qualcosa di più grande di me, mi avrebbe travolta inesorabilmente. 

Sento come un calore e uno sfrigolio scendermi lungo una gamba, poi giù lungo l'altra, per un attimo tutto si sospende e l'attimo dopo un dolore lancinante mi arriva fino ai piedi, così forte, improvviso, angosciante, tanto che il cuore inizia a battere forte. Penso, ma in modo confuso, cerco di mettere a fuoco, di concentrarmi, di capire cosa sta accadendo, ma nulla, solo un gran dolore che prende persino la testa e poi la paura inizia a togliermi il fiato. Provo a togliermi dalla posizione, ma sento le gambe strane: mio Dio cosa sta succedendo??? Istintivamente cerco comunque di alzarmi, ma ahimè le gambe non reggono e lì crolla improvvisamente tutto il mondo conosciuto fino a quel momento."

L'esito della TAC e della risonanza magnetica parlano chiaro: grossa massa di erniazione bilaterale più importante a destra, scesa nella sacca durale del sacro che comprime le radici nervose da entrambi i lati.

Rimango praticamente in un'unica posizione a letto per 27 interminabili giorni; mangiare o andare in bagno sono un incubo, non cammino, non riesco a mettermi seduta, non riesco neppure a girarmi da sola, costruisco impalcature di cuscini nel tentativo di trovare una posizione che mi consenta di gestire il dolore acutissimo.

Provo a fare di tutto: flebo di cortisone e mix di altri farmaci, ma l'unica cosa che ottengo è urlare e piangere dal dolore tutto il giorno e così prendo l'unica decisione possibile: farmi operare per uscire da quell'incubo.

L'operazione e il suo decorso

Venerdì 18 giugno 1999, all'età di 33 anni, all'ospedale di Pietra Ligure mi operano eseguendo una erniectomia e una discectomia a livello di L5-S1. l secondo chirurgo all'uscita della sala operatoria mi disse di ritenermi fortunata, perché i due nervi erano schiacciati come due stringhe, sarei stata in grado di camminare di nuovo, anche se avrei dovuto convivere con alcuni deficit permanenti.

Le diagnosi furono spietate, i giorni a letto interminabili, e la prospettiva di un futuro senza la mia passione divenne un'ombra che oscurava ogni speranza. L'operazione era inevitabile, e con essa venne la sentenza che avrebbe potuto segnare la fine del mio percorso: "Dimentica lo sport".

Le parole di medici continuano a rimbombare dentro la testa e così, dopo aver pianto tutte le lacrime che avevo, ho iniziato a convivere con la "nuova me".

La lombosciatalgia bilaterale era ancora molto acuta. Anche se il dolore non era più così lacerante e potevo camminare, la mia autonomia in piedi era di due o tre ore al massimo prima che i dolori si facessero di nuovo insopportabili. Avevo difficoltà a fare anche il minimo indispensabile della vita quotidiana. Il sonno profondo era un lontanissimo ricordo e il giorno non era tanto meglio: se ero fortunata per qualche minuto appena sveglia non avevo dolori forti, ma bastava flettersi in avanti per lavarmi il viso che subito iniziava quel dolore ormai familiare. Anche le relazioni personali erano difficili, il mio corpo faceva fatica a fare qualsiasi cosa, ero dolorante da così tanto tempo che ero stremata dal dolore, affaticata, mi sentivo fragile come una bomboniera e soprattutto non avevo speranze.

Il percorso di guarigione

Ma dentro di me ardeva una fiamma che nessun dolore poteva spegnere. Le lacrime e la disperazione lasciarono presto spazio a una limpida determinazione. Non ero disposta ad accettare quella sentenza senza lottare con ogni fibra del mio essere. Con questo stato d'animo a fine luglio sono partita per una "vacanza riabilitativa fai-da-te" nel mare del ponente ligure: camminavo, nuotavo, camminavo, mi sdraiavo su un lettino prendisole perché non sarei mai stata in grado di rialzarmi da terra e per tutto il mese, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto ho ascoltato me stessa sperando che qualcosa potesse cambiare, ma quello che sentivo era solo un corpo dolorante e menomato.

Ho impiegato cinque lunghi anni della mia vita per riuscire a ritornare ad essere quella che ero, anzi per riuscire ad essere molto meglio di prima perché ho acquisito una forza profonda e resistente che posso dire ora, con certezza, che non mi abbandonerà mai. Quell'episodio ha marchiato in modo indelebile la mia vita, una vita che non sarebbe mai stata così ricca se non fossi caduta così in basso.

La mia rinascita fu un percorso tortuoso, costellato di piccole vittorie e grandi sfide. Il Feldenkrais fu il primo passo per riscoprire il mio corpo, per imparare a muovermi in armonia con le sue nuove esigenze. Ma fu l'incontro con l'arte marziale del Hwarangdo, sotto la guida dell'ingegnere Marco Mattiucci, a regalarmi la chiave per riaprire le porte del mio destino.

Ogni calcio, ogni pugno, ogni movimento era una dichiarazione di guerra contro il mio destino prescritto. E quando, dopo anni di sacrifici, riuscii a correre di nuovo, le lacrime che bagnavano il mio viso erano di pura, incontenibile gioia. Con lui ho sperimentato un percorso fatto di disciplina, sacrificio, obbedienza, che mi ha regalato la cosa più preziosa che ho: la forza di volontà e soprattutto l'attitudine a non mollare mai.

I sette anni trascorsi nel corpo istruttori mi hanno poi portata a vivere esperienze estreme, sia fisicamente che mentalmente, al limite delle mie possibilità e spesso oltre quel limite.

Gli strumenti giusti

La mia storia non è solo la narrazione di una lotta personale contro il dolore e la disabilità. È un inno alla resilienza dell'animo umano, alla capacità di affrontare le avversità e trasformarle in opportunità per crescere, per diventare una versione di sé stessi più forte, più consapevole, più completa.

Se oggi ripenso a quella fase della mia vita, con le conoscenze acquisite a posteriori, so che avrei potuto evitare la gran parte della sofferenza, perché sarei stata in grado di gestire quella situazione invece di peggiorarla sempre più, ma purtroppo, o per fortuna, così non è stato.

Oggi, condivido la mia esperienza e la mia forza con chiunque si trovi ad affrontare le proprie battaglie, per ricordare che nessun ostacolo è insormontabile quando si ha il coraggio di credere in se stessi e nella propria capacità di superare ogni limite.

Da allora mi sono specializzata in ginnastica per la schiena e la mia missione è quella di condividere con quante più persone possibile quegli strumenti che hanno ridato dignità e valore alla mia vita.

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Federica Valenti

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